La pronuncia resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 17 febbraio 2022, prestando ossequio alla tesi del duplice ciclo causale dominante nella giurisprudenza di legittimità da circa un lustro, respinge la domanda risarcitoria proposta da una paziente contro la struttura sanitaria presso la quale era stata sottoposta a un intervento di chirurgia estetica e contro il chirurgo, in quanto l′attrice non aveva provato il nesso eziologico tra la condotta del professionista e il pregiudizio lamentato. A partire dalla sentenza 26 luglio 2017, n. 18392, la terza sezione civile della Suprema Corte, nelle controversie concernenti la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per danni subiti dal paziente ivi curato o ricoverato (che di tale natura è rimasta anche con l′avvento dell′art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24, mentre è stata espressamente ricondotta sul versante aquiliano la responsabilità dell′esercente la professione sanitaria della cui opera si avvale la struttura), ha seguito la tesi del doppio ciclo causale. In quest′ottica, l′onere di provare l′impossibilità sopravvenuta della prestazione sanitaria per causa imprevedibile, inevitabile e non imputabile alla stessa sorge in capo alla struttura soltanto ove il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale tra la condotta attiva od omissiva dei sanitari e il danno sofferto. Il principio di diritto formulato dalla citata pronuncia è stato ribadito, da quel momento in avanti, da molteplici decisioni di legittimità, comprese quelle facenti parte del pacchetto che costituiva l′approdo del c.d. progetto sanità. Ivi si è puntualizzato (Cass. civ. sez. III, 11 novembre 2019, n. 28991; Cass. civ. sez. III, 11 novembre 2019, n. 28992) che si perviene a tale risultato, in quanto, rispetto all′inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell′interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l′obbligazione (perseguimento delle "leges artis" nella cura dell′interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato). Si spiega nella motivazione di tali decisioni che, mentre nello schema classico dell′obbligazione di dare o di fare, non sussiste un onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale perché allegare l′inadempimento significa allegare anche il nesso di causalità e il danno-evento, nel territorio del facere professionale la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell′evento alla condotta. Nonostante le critiche di parte della dottrina nei confronti della descritta concezione, che rischia di avere ricadute eccessivamente penalizzanti per il paziente, essa si mantiene salda e trova riscontro nelle decisioni di merito (tra le più recenti pronunce edite si possono menzionare Trib. Bergamo, 26 maggio 2021; Trib. Torino, 13 maggio 2021). Invero, a suscitare non poche perplessità, nellottica della tutela del paziente, è una delle ricadute applicative della tesi in esame: si allude al fatto che la causa incognita resta a carico dell′attore relativamente all′evento dannoso (Cass. civ. sez. VI, ord., 26 novembre 2020, n. 26905; Cass. civ. sez. III, 26 febbraio 2019, n. 5487; Trib. Ravenna 7 maggio 2019). Va in ogni caso tenuto presente che (come sottolinea Cass. civ. sez. III, ord., 6 luglio 2020, n. 13872), la prova, che grava sull′attore, della causalità materiale tra l′insorgenza (o l′aggravamento) della patologia, ovvero la morte, e la condotta del sanitario dev′essere effettuata alla stregua della regola della preponderanza dell′evidenza, dove confluiscono: a) quella del più probabile che non, secondo la quale non è dato ipotizzare che ogni enunciato sia vero o falso, sì che la scelta del giudice ricadrà su quello che in base alle prove ha un grado di conferma logica superiore (a proposito del criterio del più probabile che non in tema di responsabilità medico-sanitaria, si è affermato che esso costituisce il modello di ricostruzione del solo nesso di causalità regolante l′indagine sullo statuto epistemologico di un determinato rapporto tra fatti o eventi mentre la valutazione del compendio probatorio è informata al criterio della attendibilità, ossia della più elevata idoneità rappresentativa e congruità logica degli elementi di prova assunti, ed è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, insindacabile, ove motivato e non abnorme, in sede di legittimità: si veda Cass. civ. sez. III, 29 settembre 2021, n. 26304); e b) quella della prevalenza relativa della probabilità, la quale rileva nel caso di multifattorialità nella produzione di un evento dannoso, ovvero quando all′ipotesi formulata dall′attore in ordine all′eziologia dell′evento possano affiancarsene altre e tutte abbiano trovato un riscontro probatorio, sì che il giudice sceglierà come vero l′enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili. Ai criteri stabiliti dal Supremo Collegio si è attenuto il Tribunale di Reggio Emilia che era stato adito da una donna sottoposta diversi anni prima a un intervento di chirurgia plastica presso una struttura sanitaria privata la quale, dopo aver promosso un accertamento tecnico preventivo nei confronti del professionista che aveva eseguito l′operazione e del centro medico, chiedeva la condanna di entrambi al risarcimento dei danni asseritamente correlati agli inestetismi derivanti dall′intervento. Orbene, dall′elaborato peritale predisposto all′esito del menzionato accertamento tecnico preventivo, era emerso che difettavano elementi idonei a suffragare la tesi secondo cui l′intervento sarebbe stato eseguito erroneamente, considerato oltretutto che le leggere dismorfie riscontrate potevano essere scaturita da una complicanza prevedibile ma non prevenibile dai sanitari per la quale [era] stato raccolto un adeguato consenso informato. In linea generale, va ricordato, quanto alle complicanze intraoperatorie, che il giudice, al fine di escludere la responsabilità del medico, non può limitarsi a rilevare la loro insorgenza, ma deve, altresì, verificare la loro eventuale imprevedibilità ed inevitabilità, nonché l′insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l′insorgenza delle stesse, unitamente all′adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per porvi rimedio (in tal senso, Cass. civ. sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074); e, quanto al consenso in relazione a un intervento di chirurgia estetica, che quando ad esso consegua un inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad attenuare, accertato che il paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato di tale possibile esito, va ordinariamente affermata la responsabilità del medico per il danno derivato, anche se l′intervento è stato correttamente eseguito (così Cass. civ. sez. III, 6 giugno 2014, n. 12830). Il giudice reggiano, nella sentenza resa il 17 febbraio 2022, muovendo dalle risultanze del predetto elaborato nemmeno contestate dall′attrice evidenzia come non sia stato dimostrato in giudizio il necessario presupposto della pretesa risarcitoria: non è stato, cioè, provato dalla parte su cui gravava il relativo onere che le conseguenze pregiudizievoli lamentate dalla paziente fossero riconducibili a colpa medica. Il che ha condotto al rigetto della domanda. E, del resto, consta una pronuncia della Suprema Corte che ha cassato la sentenza di merito che, addossando alla struttura sanitaria l′onere di dimostrare l′esatta esecuzione della prestazione ovvero il difetto d′incidenza causale dell′inadempimento sulla produzione del pregiudizio, aveva disatteso le conclusioni del ctu in merito all′insussistenza di condotta colposa dei sanitari con motivazione inesistente o, al più, solo apparente (Cass civ. sez. III, ord., 20 novembre 2018, n. 29853).